La Chiesa fu edificata tra il 1776 ed il 1783 e consacrata l’8 settembre 1787.
I lavori svolti sono testimoniati dal documento redatto da Telesforo Benigni, l’allora Sovraintendente della Fabbrica. Relazione della nuova chiesa abbaziale della Barbara presentata all’Eminentissimo e Reverendissimo Principe il Signor Cardinale Gianfrancesco Albani Decano del Sacro Collegio, Vescovo di Ostia e Velletri, ed Abate e perpetuo Commendatario dell’Insigne Badia di S.Maria di Sitria, Stamperia Bonelli, Jesi, 1787 .
La Chiesa si presentava ai suoi occhi in forte stato di degrado:
Erano 200 e più Anni, dacché la Chiesa Abbaziale per la Sua Antichità minacciava imminente rovina. Monsignor Ludovico Cesi ideò nel 1575 di rifabbricarla da fondamenti, ma le sue beneficienze non oltrepassarono la Somma di Scudi 200 che furono impiegati per impedirne la caduta.
[…] Nel 1639 il Cardinale Francesco Barberini […]si mostrò dispostissimo d’intraprendere la nuova Fabbrica; ma fu dissuaso a motivo delle gravissime spese, che abbisognavano […] di restrinse ad impegnarvi poche centinaia di Scudi, e benché facesse sperare, che avrebbe eretta la nuova Chiesa, né in tempo suo, né in quello del successore il nipote Cardinale Carlo Barberini fu rinnovata alcuna cosa.
A questo punto il Benigni ci racconta le modalità e gli attori che concorsero alla riedificazione nel 1787:
[…] Fu allora, che vedendo il rovinoso stato della sua Chiesa e la picciolezza della medesima incapace di contenere per entro di essa il numeroso Popolo di questa sua Terra, risolse costantemente di farne costruire un’altra, che fosse segna di sé, e del grande oggetto, cui doveva essere dedicata diede per tale effetto i suoi Ordini Ministri della Badia, e si raccomandò loro, che sollecitamente si ponesse mano alla grande Opra. Si consumarono però diversi anni in disegni, e progetti, de’ quali non si vedeva mai la fine, e superata una difficoltà, ne insorgeva un’altra di gran lunga maggiore. […]
Aderendo il Signor Governatore Laureati ai supremi Comandi dell’E.V. ,e alle preghiere di tanti buoni Cittadini accettò di buon grado l’Incarico, e fra tutti i Disegni, che gli furono presentati, prescelse quello del Celebre Signor. Francesco Ciarafoni di Ancona, che a giudizio degli Intendenti fu giudicato il migliore. Quindi eletto per Capo Mastro il Sig. Pietro Belli di Jesi, e per Ministro della Fabrica il signor Giuseppe Sala Napoletano, Uomo che in materia di economia, di destrezza e di onoratezza, non ha chi lo superi, fece nel 1776, demolire l’antica Chiesa. Ciò eseguito, fu con piacere universale sotto il 16 Agosto di detto Anno posta per ordine di V.E. la prima Pietra della nuova dal fu Sig. Giovanni Ferlichi Sacerdote Barbarese, delle cui ottime virtù ancor suona chiarissima fama.
Alla facciata principale, Telesforo Benigni, dedica un paragrafo ben dettagliato, dal quale si evince il gusto neoclassico tipico del tempo:
Sopra il basamento lungo Palmi 55, ed altro da terra palmi 15, resta prontato il Zoccolo di palmi 4 sopra cui s’innalzano di fronte due grandi Pilastri d’ordine Dorico. Uniti questi ad altri due, che sono collocati negli angoli della Facciata, sostengono l’Architrave, Fregio e Cornice dello stesso Ordine, sopra della quale si vede Frontespizio triangolare formato da un Timpano liscio con maestosa Cornice introno. In mezzo all’Angolo un bel ideato Acrotrerio, che sorregge la Croce, la quale rimane in mezzo di due fiamme di Marmo egregiamente lavorate dal fu Signor. Benedetto Rodoloni di Santippolito, che è l’Autore eziandio di tutti gli altri lavori de’ Marmi, che sono nella Chiesa e nel Campanile. Due Fasce annesse ai Pilastri, ed una ben intesa Porta pur di Marmo bianco, il cui vano è di Palmi 10 di lunghezza, e di Palmi 20. di altezza ornato con suo frontespizio ed il bel Finestrone al di sopra, adornano il sito intermedio. Tutta la facciata è larga Palmi 5. ed alta Palmi 90.
Circa l’architettura della Chiesa:
Il Corpo della Chiesa ha la figura di un Parallelogrammo formato da due Quadri, e mezzo non compresovi il Cappellone di forma semicircolare, nel mezzo del quale è collocato l’Altare Maggiore di vago disegno, tutto messo in oro, e marmito respettivamente dai rinnomati Indoratori Girolamo Miliorelli, e Niccola Grasselli di Sanginesio, che è riuscito sorprendente. All’ingresso della Porta fiancheggiata da due grandi Pilastri, e due gran Nicchie, ove sono collocate due Acquasante di Marmo bianco con il loro piedistallo intersiato di altri Marmi di vario colore, si trova sì a destra, che a sinistra uno spazio di Palmi 10. dal vivo del Muro destinato per due Confessionali. Sopra questa Porta, che è la principale della Chiesa, ho stimato giusto, e doveroso eriggiere il ritratto in grande di V. E. contornato da una maestosa Cornice, sopra la quale rimane Vaghissima Conchiglia di Stucco, da cui escono due festoni DI varj fiori eccellentemente lavorati dal SiG. Marco Monti di Milano.
Appiè del ritratto leggesi l’Infrascritta Iscrizione
JOANNES FRANCISCUS ALBANUS
S.R.E. CARD.
EPISCOPUS HOSTIENSIS, ET VELITERNUS
SITRIENSIS ABBAS XVIII
TEMPLUM. HOC. ET QUE. IN TEMPLO.
SUMMO. BARBARENSIUM. BONO.
F.F CURANTE. TELESPHORO. BENIGNO. GUBERNATORE
Il committente di questa Chiesa è Gianfrancesco Albani ed in suo onore che è posto, al di sopra dell’entrata nella Chiesa, il suo ritratto.
Gian Francesco Albani (Roma, 26 febbraio 1720 – Roma, 15 settembre 1803) è stato un cardinale e vescovo cattolico italiano. Gian Francesco Albani era figlio di Carlo Albani, principe di Soriano e del Sacro Romano Impero. Pronipote di papa Clemente XI e del cardinale Alessandro Albani, era nipote del cardinale Annibale Albani e zio del cardinale Giuseppe Albani.
La figura del Cardinale accoglie il fedele in questo luogo di preghiera e la posizione della tela, inizio del nostro percorso espositivo, dispiega davanti a sé il progetto architettonico, dialogando idealmente alla stessa altezza della pala d’altare della Madonna Assunta, in vicendevole contemplazione.
La nicchia di Sinistra
Trevisano, Gesù Cristo alla Colonna
Le fonti ci dicono che fu lo stesso Telesforo Benigni ad acquistare tale quadro.
Proseguendo dalla stessa parte si ammira poi il bellissimo Quadro del Trevisano da me acquistato in codesta Dominante a vilissimo prezzo, rappresentante Gesù Cristo alla Colonna, che copre il miracoloso Crocifisso situato nella Seconda Cappella appartenente alla ven. Confraternita del Santissimo Sacramento, e che viene altresì contornata dai Misteri della Passione dipinti dal celebre Sig. Giovanni Pirri valentissimo Pittore Anconetano, di cui avrò luogo di parlare altrove.
Il quadro è stato rimosso e posto in alto in fondo alla Chiesa.
Segue la Madonna col Bambino del Pomarancio.
Prossima alla detta statua è la quarta, ed ultima Cappella dedicata a S. Nicola, e a Tolentino e S. Telesforo Papa, che colla B.V., S. Antonio Abate, e S. Niccolò di Bari si veggono maestevolmente dipinti da mano eccellente, che non è nota, benché alcuni l’attribuiscano al Pomarancio. […] In questo Altare per benignità del Regnante Sommo Pontefice vi è l’indulgenza Plenaria nel giorno di S. Telesforo e per due giorni precedenti alla Festa.
La nicchia di Sant’Anna, dedicata ad ella in memoria della piccola rovinosa Chiesa rurale demolita a beneficio della Nuova Chiesa. Qui è stato posto un quadro del Domenichino, a tal proposito Telesforo Benigni racconta che:
[…] io ho creduto di dedicare a S.Anna, non solo a memoria della piccola rovinosa Chiesa rurale demolita per benefizio della nuova Chiesa, ma molto più perché si potessero soddisfare in essa gli obblighi annessi alla prima, si vede situato un bellissimo Quadro del Domenichino, in uci, oltre la Santa sopradettata, si ammirano eccellentemente dipinti la Beata Vergine tenente in seno il Bambino che stà leggendo in un Libro sostenuto da un Angelo, appresso del quale rimangono un San Girolamo ed altre figure. Ancora questo Quadro è ornato di una bella Cornice parte dorsata e parte marmorizzata ad uso di Persichino, come l’altra di rimpetto.
Porta inoltre la descrizione “Copia di Antonio Allegri detto il Correggio, Maddalena col Bambino, un Angelo e i Santi Girolamo, Domenico e Maria Maddalena. Sec XVII”.
La nicchia di destra
La tela rappresentante San Sebastiano, risale al 1644 ed è stata realizzata da Paolo Gismondi da Perugia. Le dimensioni della tela furono ampliate nel ‘700, quando il quadro aveva già subito un offuscamento cromatico: la netta divisione oggi è ben visibile. Il culto di San Sebastiano era molto sentito nella città di Barbara; Telesforo Benigni ci parla, sempre nella sua relazione, di una chiesa rurale dedicata a questo santo:
La Cappella, che segue dopo la detta Statua, è dedicata a S. Sebastiano Martire, verso di cui anticamente doveva avere il Popolo una particolare divozione, ghiacché anche nel Territorio, vi era una Chiesa rurale dedicata al medesimo Santo, di cui, sebbene non rimangano neppure le Vestagie, ciò non ostante nonostante va in ogni anno, nel primo giorno delle Rogazioni a farne la commemorazione.
In questa Cappella vi è il Quadro del Santo dipinto da Alberto Duro (si intende Albrecht Dürer, massimo esponente del Rinascimento tedesco ed uno degli artisti europei più quotati tra il XV e il XVI sec).
Ad oggi il dipinto è attribuito a Paolo Gismondi, firmato e datato 1644.
Porta inoltre la descrizione “Copia di Antonio Allegri detto il Correggio, Maddalena col Bambino, un Angelo e i Santi Girolamo, Domenico e Maria Maddalena. Sec XVII”.
Le statue
Telesforo Benigni nella sua relazione al Cardinale Albani ci indica i committenti delle statue come segue:
- Cominciando poi dalla prima Statua a mano dritta presso la Porta Principale, che rappresenta un S. Filippo Neri, dirò a V.E., che tanto questa, come le altre quattro, delle quali parlerò in appresso, furono lavorate dallo Scultore Antonio Rodoloni Fratello del sopradetto, e che a piè della medesima vi ho fatto apporre una Iscrizione in memoria del Sig. Francesco Guazzugli Tarducci, che ha contribuito alla spesa, ed è la seguente.
D. PHILIPPO NERIO
MULTIS NOMINIBUS OPT. DE. SE. MERITO
FRACISCUS GUAZZUGLIUS
M.A.S.D.B.S.
A. CIᴐGPEXXXIV
Essa è stata dunque fatta erigere dal committente Francesco Guzzugli nel 1784.
- La Statua di San Carlo Borromeo è stata voluta da il Signor. Carlo Leli figlio del fu Signor. Pietrantonio Rodoloni, corredata da iscrizione:
DIVO BORROMEO
CAROLUS PETRI ANTONII. LELII.
ARCIS, COLLALTI. PREFECTI. FILIUS.
NOMINI. DEVOTUS.
L.M.O.N XAHRIIII.
Eretta nel 1784.
- Segue poi San Giuseppe, sposo della Vergine Maria. Mario Matteri, Prefetto a Roma e Vicario Imperiale, dedicò al suo protettore con exvoto nell’anno 1784.
- A San Girolamo, dottore della Chiesa e suo patrono, Girolamo Galassini, Capitano di Fanteria fece erigere a proprie spese nell’anno 1784.
- Infine, troviamo San Emidio Pontefice di Ascoli, affinché salvi se e la propria Patria. Posta a sue spese da Giuseppe Sala nel 1783.
Il Santissimo Crocifisso
In base al restauro effettuato da Silva Cuzzolin nel 2021 grazie alla consueta generosità della comunità dei fedeli e presentato pubblicamente il 3 maggio 2022, l’immagine miracolosa ha la sua paternità artistica in ambito marchigiano e la sua datazione andrebbe avvicinata ai nostri giorni: dalla certezza di un’opera collocabile in ambito seicentesco all’ipotesi, più che fondata a detta della restauratrice, di un’effigie realizzata nel XVIII sec. ma con reminiscenze del ‘600.
La fama taumaturgica dell’Immagine era già da secoli diffusa e la Chiesa Abbaziale di Barbara era meta di fedeli provenienti da ogni parte per chiedere una grazia ed il conforto della fede.
Nel 1728 e nel 1781 il Ss.mo Crocifisso venne portato in pellegrinaggio a Loreto, con grande concorso di popolo, sorretto dalle mani degli stessi sacerdoti. Nel 1728 Alessandro Ruggieri di Jesi partecipa alla processione da spettatore, in quanto inchiodato al letto per infermità.
<<Egli mosso da vivissima fede, si fece portare da quattro uomini sulla pubblica via e al passaggio del Simulacro restò libero da ogni male e poté liberamente tornarsene a casa.>>
Nel 1855, documenti attestano, che Barbara fu liberata dal morbo del colera per grazia del Ss.mo Crocifisso e che l’anno seguente si svolsero grandiosi festeggiamenti di ringraziamento. Le processioni sono continuate fino al 1934, finché il deterioramento della figura lignea non ne permise più lo spostamento.
Fino all’anno 2000 esso veniva esposto ai fedeli, per la durata di una settimana in occasione della Festa della prima domenica di maggio.
La madonna dell’Olivo
Il quadretto della Madonna dell’Olivo è immagine molto cara alla città di Barbara. La Chiesa di Santa Maria Assunta conserva una copia, l’originale oggi si trova nella Chiesa di Santa Barbara.
La storia di questa immagine inizia già intorno all’anno mille: questo pio e miracoloso simulacro venne affrescato su una pietra murata e rivestita da strati di malta, proveniente da un’ edicola rurale”, denominata ‘Madonna del Bastardo’, e non di un dipinto su una macina da molino, smentendo, sulla base dal restauro eseguito da Silva Cuzzolin nel 2005, una credenza popolare assai radicata nella comunità barbarese.
Il terreno in cui si trovava l’edicola, dal nome Villa Sanctᴁ Mariᴁ, indicava un villaggio sorto nei pressi dell’antichissimo cenobio camaldolese, detto Convento Vecchio. Questo villaggio fu sopraffatto da Villa Barbara, lasciando solo l’edicola della Madonna in mezzo ad un terreno piantato di olivi. In seguito, nel 1692, l’immagine fu trasportata nella nuova chiesa di S. Rocco e ribattezzata Madonna dell’Olivo.
Sotto il regno di Napoleone, nel 1811, anche la Chiesa di San Rocco fu demolita e la Madonna fu trasportata in una Chiesa dedicata a San Francesco presso l’attuale borgo Mazzini. I frati Minori Conventuali furono costretti ad abbandonare il paese, per via del decreto napoleonico della soppressione degli ordini religiosi.
A seguito della caduta di Napoleone l’immagine fu venerata e trasportata a gran festa nella Chiesa di Santa Maria Assunta e posta sull’altare maggiore a dimostrazione di tutto il popolo contro la potenza giacobina. Infine, vi invitiamo ad andare a vedere l’immagine della Madonna dell’Olivo la quale dall’ agosto del 1812 è stata posta stabilmente nella Chiesetta di Santa Barbara, dove fu murata anche l’iscrizione datata 1692.
Le cantorie sono state realizzate in occasione dei rifacimenti del 1787. Esse si trovano a 13 palmi da terra e sono state ornate di bellissimi Stucchi del Sig. Monti. Una di queste era già destinata all’Organo e, dall’altra parte era prevista una balconata simile e speculare per il coro. Ad oggi l’architettura originale è visibile.
Il presbiterio appare oggi con la fonte battesimale, l’altare e l’ambone a seguito della riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Le colonnine vennero recuperate dall’eliminazione della balaustra, già dono dalla “sora Isolina”, vedova di Arduino Pasqualini.
La pala d’altare regina di questa Chiesa porta il titolo di l’Assunzione di Maria.
Le fonti storiche attribuiscono con certezza la sua realizzazione al pittore Giovanni Pirri, ed è datata 1787.
La Pala d’altare è inserita in una decorazione architettonica d’ispirazione classica con richiami archeologici e con l’antica cornice di scena. Taluni elementi architettonici quali le due colonne doriche coronate da una trabeazione decorata da mascheroni, un obelisco con singolare pyramidon a forma di campana, un tempietto e un edificio sovrastata da una cupola riflettono indubbiamente gli interessi culturali della corte romana al tempo di Papa Pio IV Bramaschi, orientati dunque verso la classicità.
L’opera si compone di due ordini sovrapposti: in basso il mondo terreno ed in alto il sopramondo celeste.
Al centro, La Vergine è riconoscibile grazie alle sue vesti azzurro e rosa; al di sopra di essa si apre una nube grigia che divide in diagonale il cielo illuminato e dall’alto dal bagliore divino. La Madonna è rappresentata con le braccia tese al cielo, il volto rapito in estasi dal divino intenta ad essere trasportata da tre cherubini e da due angioletti che si intrecciano al movimento dei panneggi.
La parte inferiore dell’opera presenta un sarcofago vuoto, dipinto in prospettiva angolata verso il fruitore a suggerire profondità di scena. Gli apostoli si affollano in una moltitudine di sguardi e di sensibile eloquenza.
In primo piano a sinistra vediamo San Pietro, riconoscibile dagli attributi: il manto blu acceso, la folta barba, i radi capelli e le chiavi: egli è nell’atto di genuflessione con le mani tese in preghiera verso la Vergine.
Ai piedi sono riconoscibili San Giovanni Evangelista: egli è rappresentato nei suoi aspetti giovanili ed indossa un manto verde: anch’egli è nell’atto di aprire le braccia simbolo che sta qui a sottolineare il suo stato d’animo: smarrito e turbato egli contempla l’assunzione della Madonna in cielo.
Alle spalle di San Pietro un ultimo apostolo è intento a sollevare un lenzuolo funebre che copre il sarcofago e che, come ci suggerisce la sua espressione facciale, lo trova inaspettatamente vuoto.
L’ambientazione e lo sfondo risultano decisamente suggestive e scenografiche: nel complesso si evidenzia una preponderanza dell’uso del colore grigio riconducibili ad un sobrio stile cristiano classico.
La pala d’altare di Barbara costituisce una rarità. Pirri è colui che realizza e firma tale opera, la quale si aggiunge al vasto repertorio artistico del pittore. Dell’artista si sa che è originario di Ancona, il quadro che realizza per Barbara deriva dalla diretta committenza del Cardinale Albani. Il pittore era figlio e fratello di due eccellenti professori di medicina ed era uno dei tanti artisti immigrati a Roma dalla Marca – le Marche.
Il Restauro promosso nel 1990 dal Parroco Don Giuseppe Livieri a spese della comunità locale, ha fatto sì che l’opera tornasse al suo splendore originale: la tessitura cromatica dello sfondo è oggi molto evidente. Accesi sono i timbri e gli accostamenti disarmonici delle figure in primo piano. Il restauro è stato condotto da Nino Pieri sotto la direzione dell’allora Dottoressa Claudia Caldari, funzionaria della Sopraintendenza per i Beni Artistici e Storici delle Marche – Urbino.
Sopra il coro si possono ammirare le copie settecentesche dei ritratti degli abati commendatari dell’Abbazia di Sitria realizzati in gran parte da Maddalena Spagnolini nipote del Pirri. Il solo pontefice a rivestire anche il ruolo di Abate commendatario, caso più unico che raro, era Alessandro VI Borgia, con un ritratto oggi scomparso.
Analisi e Critica
I riferimenti d’indirizzo accademico-classicheggiante sono preponderanti. L’opera può essere inserita nell’ambiente artistico romani dell’ultimo venticinquennio del ‘700 dove personalità quali Unterberg, Domenico Corvi, Tommaso Conca, Antonio Cavallucci, Giuseppe Cades, Pietro Labruzzi, Antonio Concioli, rappresentano le correnti caratterizzanti della pittura romana negli anni del regno di Papa Pio VI (1775-1799). Il taglio compositivo dell’opera, la scelta della tipologia nonché la contenuta ed intensa componente sentimentale, deriva dalla tradizione pittorica bolognese del tempo.
In tal senso, la pittura del Pirri è da considerarsi come non molto originale ma sicuramente accademica per via della sua chiara, dignitosa, di maniera convenzionale, nitida scelta degli equilibri disegnativi. Nel complesso essa si presenta come di facile lettura, in sintonia con le richieste dei committenti delle terre della Marca, che continuavano a rifornirsi di pale d’altare dalla città di Roma.
Con il supporto di Don Paolo Montesi
A cura di Labianca Lidia Maria
Anno di redazione 2021